Onorevoli Colleghi! - Voluta dal console Gaio Flaminio, la via consolare che da lui prese il nome - la via Flaminia - risale alla seconda metà del III secolo avanti Cristo (circa al 220 avanti Cristo) e fu tracciata, riutilizzando percorsi più antichi, con il preciso scopo di assicurare i collegamenti tra Roma e l'Italia settentrionale. Proprio in quel periodo, infatti, Roma aveva intrapreso un processo espansionistico di eccezionale portata, dapprima diretto alla penisola italica, poi alle aree contermini, ed è a quel punto che si palesa, in tutta la sua urgenza strategica ed economica, la necessità di affrontare il problema transappenninico. Problema che implicava, anzitutto, la realizzazione di una direttrice viaria fra Roma e l'altra sponda della penisola. Né è un caso che essa si leghi al nome di Gaio Flaminio, cioè al magistrato cui si deve, nel 232 avanti Cristo, la lex de agro Gallico Piceno viritim dividundo, nonché l'anomala assunzione, nel 223 avanti Cristo, del consolato in Rimini, città fondata nel 268 avanti Cristo, che rappresentò per quasi un cinquantennio il più avanzato avamposto romano ai margini della pianura padana. E proprio Ariminum (Rimini) divenne per i romani la base operativa per la conquista della Gallia cisalpina.
      La via Flaminia era la strada che collegava Roma a Rimini transitando lungo le valli del Tevere e della Nera, passando per Narni e Foligno e dipanandosi, oltrepassato il valico della Scheggia, lungo le valli del Burano e del Candigliano, passando quindi per Fossombrone e spingendosi fino a oltre la foce adriatica dei Metauro, da dove, piegando verso settentrione, seguiva la linea litoranea fino a Rimini e qui si saldava con la via Emilia, per un totale di 191-223 miglia (pari a 283-330 chilometri). Nel corso dei secoli

 

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questa via consolare non funse soltanto da collegamento tra la capitale e Rimini, ma permise il costante contatto con Ravenna - un approdo che assunse una particolare importanza in epoca imperiale - e rappresentò una valida alternativa alle strade litoranee. Essa, in stretta saldatura con la via Emilia, assicurò i collegamenti non solo tra l'Adriatico e il Tirreno, ma anche tra la Gallia Cisalpina e il Lazio.
      Ben si comprende, quindi, come nel disegno espansionistico di Roma la via Flaminia si sia configurata come una via di veloce percorrenza per adempiere a esigenze militari e amministrative. Per rispondere a tali esigenze il tracciato viario fu concepito con un andamento il più possibile rettilineo, un obiettivo, quest'ultimo, a tratti di non facile realizzazione, dato il contesto naturale difficile, accidentato e franoso, soprattutto nella zona tra l'Umbria e le Marche.
      La costruzione della strada richiese quindi imponenti infrastrutture come ponti, viadotti, sostruzioni e «tagliate» - molte delle quali ancora oggi esistenti - tanto che sotto il profilo progettuale, nonché per le soluzioni tecniche adottate, la via Flaminia superava altre grandi e importanti arterie romane, e pur non essendo lastricata nella medesima misura di altre strade - si pensi, ad esempio alla via Appia - risultava spesso preferita, poiché garantiva una più facile percorribilità e una maggiore velocità negli spostamenti, nonché un facile innesto su tutta la rete viaria dell'Italia settentrionale.
      Essa rimase per secoli la spina dorsale degli spostamenti tra centro e nord Italia, tanto che se dapprima fu la via di passaggio degli eserciti romani, poi lo fu degli imperatori del Sacro romano impero e in seguito divenne la strada di commercianti e di pellegrini diretti a Roma e ai luoghi sacri centroitalici (Assisi e Loreto). Proprio l'utilizzazione continuativa nelle varie epoche ha avuto come effetto la sua manutenzione costante nei secoli: se si ha notizia di Augusto che, primo curator viae Flaminiae, la fece ripavimentare fino a Rimini, a opere di restauro e di miglioramento provvidero nel tempo anche altri imperatori - Vespasiano, Traiano e Adriano - perfettamente consapevoli di come la via Flaminia fosse una delle strade più frequentate da uomini e mezzi. E agli imperatori succedettero poi i sommi pontefici. Vero è, però, che tra la tarda antichità e l'inizio del Medioevo le invasioni barbariche e le vicende politiche che videro contrapporsi bizantini e longobardi determinarono una considerevole diminuzione del suo utilizzo e solo in seguito al ricomporsi dell'unità politica dei territori centroitalici - ossia dopo la donazione al Pontefice, da parte del re dei Franchi Pipino, dell'Esarcato e delle terre delle Pentapoli marittima (formata da cinque città portuali: Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona) e montana (Gubbio, Cagli, Urbino, Fossombrone, Iesi e Osimo) - la via Flaminia fu di nuovo praticabile.
      Ora, l'importanza strategica di questo tracciato, che a noi non sfugge, non sfuggiva neppure agli antichi e anzi ben trapela dalle testimonianze di autori, quali Cicerone e Strabone, per non menzionare che i più famosi, che hanno ravvisato nella via Flaminia una delle arterie viarie più importanti dell'epoca romana; ciò nondimeno molti dati tecnici sulla sua lunghezza, sul tracciato e sui luoghi da essa messi in collegamento ci sono pervenuti attraverso gli «Itinerari» stradali antichi (Itinerarium Antonini, Itinerarium Burdigalense e Tabula Peutingeriana), ovvero quelle «guide turistiche» della tarda antichità che descrivevano il mondo conosciuto puntualizzando la distanza tra i centri che si succedevano lungo i tracciati. Sappiamo così che il percorso della via Flaminia aveva una lunghezza compresa tra le 119 e le 223 miglia, a seconda del tracciato considerato: in alcuni tratti vi erano infatti delle varianti rispetto al percorso originario e queste sono all'origine della differenza nel computo totale delle miglia. Il suo tracciato complessivamente noto è stato in anni recenti ulteriormente puntualizzato.
      Il tratto iniziale della via Flaminia, in uscita da Roma, coincideva con quello delle vie Clodia e Cassia; la via oltrepassava infatti le mura Serviane attraverso la
 

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porta Ratumena e, percorrendo l'attuale via del Corso (anticamente Via Lata), giungeva alla porta Flaminia delle Mura aureliane (oggi porta del Popolo), quindi superava il Tevere sul Pons Milvius (fatto costruire da M. Emilio Scauro nel 109 avanti Cristo e oggi ancora usato), per poi correre nella pianura tra le alture orientali e il Tevere. Di qui il suo percorso si snodava per buona parte lungo quello che è oggi riproposto dalla strada statale n. 3. Alla periferia di Roma la strada era costeggiata da numerosi monumenti sepolcrali, molti dei quali ancora oggi visibili, e proseguiva fino a Prima Porta lungo la valle tiberina, leggermente ad est rispetto alla strada attuale, come ben testimoniano il rinvenimento di tratti di basolato e la presenza di monumenti tra i quali il sepolcro dei Nasoni, quello presso Grottarossa (Saxa Rubra) e la cosiddetta «Tomba Celsa». Da Prima Porta la strada seguiva il percorso di crinale che è in parte conservato - a Rignano Flaminio si conserva per circa 500 metri il basolato antico - e ricalcato dalla strada moderna; in seguito correva lungo la valle del Treia, dove superava importanti dislivelli mediante un viadotto ancora oggi conservato. Giungeva quindi al guado del Tevere presso Otricoli (Ocriculum, importante antico nodo fluviale per le merci e le comunicazioni) e di qui il suo percorso si snodava nel territorio dell'Umbria.
      Importanti preesistenze dell'antico tracciato e delle aree urbanizzate adiacenti, testimonianti la rilevanza del sistema relazionale prodotto dai flussi di comunicazione di questa via consolare, sono ancora oggi esistenti. La via flaminia giungeva a Narnia (Narni) attraverso una maestosa «tagliata» tuttora in uso per la viabilità moderna e, secondo accreditate ipotesi ricostruttive, qui si biforcava in due rami distinti: uno occidentale e uno orientale, che si riunivano nei pressi di Foligno. Il percorso occidentale, originario, partiva all'altezza del ponte di Augusto sul fiume Nera, attraversava Carsulae e proseguiva fino alla stazione ad Martis (Santa Maria in Pantano-Massa Martana) e Mevania (Bevagna). Oltrepassato Foligno, a San Giovanni Profiamma (Forum Flaminii) il ramo occidentale si riuniva all'orientale. Quest'ultimo, più tardo e leggermente più lungo, passava invece per Interamna Nahars (Terni), Spoletium (Spoleto) e Trebiae (Trevi).
      Da Forum Flaminii la strada si dirigeva - come anche l'attuale strada statale n. 3 - a Nuceria Camellaria (Nocera Umbra) arrivando fino a oltre 500 metri d'altezza e passando su ponti, viadotti e sostruzioni. Di qui arrivava a Tadinum, poi a Hevillum (Fossato di Vico alle falde del Monte Cucco), a Suillum e quindi a Scisa (Scheggia), sede della stazione Ad Haesis, da dove si inerpicava fino al valico di Scheggia a circa 600 metri e di qui entrava nell'attuale regione Marche. Passava per Luceolis (Cantiano), dove si conserva ancora oggi un maestoso ponte, quindi giungeva alla stazione Ad Calem (Cagli), poi alla mutatio ad Intercisa (Furlo) dove, per permettere il passaggio della strada nella stretta gola tra i monti Pietralata e Paganuccio, si rese necessaria la realizzazione di un poderoso taglio nella roccia per ricavare la sede stradale. Oltrepassato il Furlo la strada arrivava a Forum Sempronii (Fossombrone), quindi Ad Octavo (Calcinelli), ad Fanum Fortunae (Fano), a Pisaurum (Pesaro) e quindi concludeva il suo tracciato ad Ariminum (Rimini), dove l'arco di Augusto ne segnava il capolinea.
      Come ben si evince da questo quadro, il territorio solcato dalla via Flaminia era a tratti impervio e dirupato, attraversato da corsi d'acqua e caratterizzato da dislivelli, alcuni dei quali di difficile superamento. Ciò nondimeno i romani, abili costruttori, superarono le asperità del paesaggio costruendo sostruzioni, ponti, tagliate e gallerie che ridefinirono l'intero paesaggio. Molti di questi manufatti sono oggi conservati: si pensi ai ponti e ai viadotti del Lazio, ai ponti dell'Umbria - dal ponte Sanguinaro, che ingloba resti romani, alla tagliata di Narni, al ponte di Augusto sul Nera, alla serie di ponti lungo la variante occidentale - e, per quanto riguarda il tratto marchigiano, al ponte Grosso di Cantiano, al ponte Mallio a Cagli, alla galleria del Furlo, cui va riservata
 

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una particolare attenzione per l'arditezza (i muri di sostruzione superano i 30 metri di altezza); ma altresì poderose sono le sostruzioni della Scheggia e di Pontericcioli, e in quest'ultima località sono notevoli anche le «tagliate».
      Indice dell'importanza della via Flaminia nei secoli è anche la terminologia impiegata per definirla nei documenti. La via Flaminia, infatti, oltre ad essere spesso indicata con la sua denominazione originaria, è di norma individuata con il termine di strata, termine che in epoca medievale era usato per indicare un'arteria di antica fondazione o comunque di grande interesse, in ogni caso un asse viario di solida costruzione e lastricato (è questo, ad esempio, il caso di atti documentari che attengono i territori di Cagli, Fossombrone e Senigallia).
      Ma l'importanza della via Flaminia non si esaurisce con l'epoca romana. Ben consapevole del valore strategico della strada, oltre che del valore delle infrastrutture di supporto, fu di certo l'imperatore Ottone I, che fece costruire un palazzo imperiale a Ravenna, città da lui elevata al rango di capitale dell'impero al pari di Roma e di Pavia, posta non a caso verso Classe e dunque in direzione di Rimini. La via Flaminia fu quindi per tutta la tarda antichità una via di primaria importanza per i collegamenti tra le due capitali dell'impero - Roma e Ravenna - e a tutela della sua viabilità, sempre più insidiata dai predoni, il potere centrale dispose opportune stazioni di vigilanza militare.
      Con il Medioevo, infine, la via Flaminia divenne una delle vie più frequentate dai pellegrini che andavano a Roma, ad Assisi e a Loreto, tanto più che a Rimini essa si congiungeva alla cosiddetta «via Romea», altra straordinaria rotta usata dai pellegrini per i loro spostamenti. Ciò trova una precisa rispondenza nell'articolazione delle pievi - organismi territoriali intermedi tra territorium civitatis e fundus, luoghi di esercizio della giustizia e dell'attività pubblica a livello locale, con terre e uomini, cappelle, chiese, ospedali, celle monastiche - oltre che nella rete dei monasteri gravitanti lungo il suo percorso. È a questo proposito importante sottolineare come, tra l'epoca tardoantica e l'alto Medioevo, il territorio rurale dell'intera penisola abbia visto una graduale sostituzione della struttura amministrativa romana con la distrettuazione ecclesiastica, che aveva nelle pievi dei cardini ben ripartiti sul territorio. Tale fenomeno comportò, da un lato, la riorganizzazione delle popolazioni prostrate dalle invasioni barbariche e, dall'altro, permise di porre una serie di presìdi in connessione con la viabilità, un sistema che si integrerà perfettamente con la successiva diffusione del monachesimo. Infine, se i territori della via Flaminia settentrionale sono legati alla presenza di alcuni eremiti quali San Romualdo e San Pier Damiano, entrambi di origine ravennate ed entrambi presenti, in periodi diversi, alla badia di San Vincenzo al Furlo, l'intero tracciato di quest'antica strada romana sarà lo scenario lungo il quale si muoveranno, nei loro spostamenti verso Roma, anche gli imperatori sassoni - gli Ottoni - che coglievano l'occasione di questi spostamenti motivati da finalità politiche per allacciare rapporti con chiese e monasteri o con nobili locali nelle zone attraversate. La percorrenza del tratto tra Ravenna e Roma era mediamente di quattordici giorni, con dodici soste intermedie compiute presso corti regie, vassalli, vescovadi, abbazie, ma anche pievi che potevano assicurare il rifornimento di vitto e di alloggio per la notte all'imperatore e al suo seguito.
      Ben si coglie da questo excursus, quindi, come la via Flaminia si sia configurata, per la storia della nostra penisola, come un importante asse viario attraverso cui sono stati veicolati persone, mezzi, beni e - soprattutto - idee, il cui ruolo è iniziato con l'epoca romana, ma di certo non si è concluso allora. Si pensi, ad esempio, all'importanza formidabile che ebbe anticamente questa strada nel processo di romanizzazione, ai cambiamenti che indusse negli schemi culturali ancora arcaici delle popolazioni centroitaliche nel momento in cui venivano in contatto con Roma. E ancora si è visto come, rispetto
 

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al territorio attraversato, la funzionalità del sistema viario di cui la via Flaminia fu la spina dorsale abbia conosciuto una persistenza, in dimensione diacronica, decisamente significativa, una persistenza che si prolunga idealmente, nell'immaginario collettivo, con i fotogrammi della nota gara delle «Mille Miglia». In questa continuità, dunque, sta la forza evocativa e culturale dell'antico tracciato romano.
      Pertanto, recuperare nel suo complesso l'intero tracciato equivale al recupero dell'identità storica di un territorio vasto e multiforme e delle sue molteplici interrelazioni.
      Recuperare l'intero tracciato della strada romana, unendo il dato toponomastico, in cui si è sedimentata la memoria, alla valorizzazione dei ritrovamenti archeologici noti con la creazione di parchi archeologici diffusi e all'incremento della ricerca, laddove campagne di riprese aeree possano evidenziare tracce del percorso ancora esistenti, ma non più visibili, significa dunque recuperare quel filo conduttore che, in una prospettiva di ampio respiro, unisce, oggi come ieri, il cuore della capitale con l'area padana, in una proiezione verso una dimensione europea che va facendosi sempre più vicina.
      Se infatti ieri la via Flaminia attraversava l'Italia centrale e arrivava alla Gallia Cisalpina, oggi un progetto per il suo recupero potrebbe vedere coinvolte molteplici realtà territoriali, ovvero quattro regioni - il Lazio, l'Umbria, le Marche e l'Emilia-Romagna - e sei province - Roma, Viterbo, Terni, Perugia, Pesaro e Urbino, Rimini. Un'azione sinergica di questi enti, unitamente alle locali soprintendenze per i beni archeologici e alle università che conducono le ricerche sul campo, potrebbe infatti portare all'obiettivo di rendere l'antica via Flaminia il perno su cui innescare una significativa valorizzazione dei territori dell'Italia centro-settentrionale. Una valorizzazione culturale, dunque, da affiancare a quei progetti di valorizzazione ambientale e di recupero delle tradizioni eno-gastronomiche che, in anni recenti, hanno visto un graduale coinvolgimento dei flussi turistici, oggi più consapevoli anche dell'importanza delle tradizioni racchiuse nella cultura dell'alimentazione.
      Pervenire a un siffatto obbiettivo significa dunque:

          1) potenziare la ricerca di nuovi siti archeologici correlati al percorso attraverso metodologie non invasive (indagini con georadar, telerilevamento, analisi mediante foto aeree e da satellite);

          2) potenziare lo studio geomorfologico del territorio;

          3) potenziare la ricerca archeologica in siti già noti gravitanti sul percorso della via Flaminia;

          4) incrementare gli interventi di recupero delle infrastrutture viarie sparse nel territorio (ponti, viadotti, tagliate, galleria del Furlo);

          5) mettere in rete il complesso delle evidenze archeologiche note con l'aiuto di supporti didattici (pannelli esplicativi, pieghevoli, pubblicazioni sintetiche, cartografia) creando piccole realtà museali diffuse e idealmente collegate;

          6) incrementare la divulgazione scientifica dei risultati con convegni e pubblicazioni.

      La presente proposta di legge si compone di sette articoli. L'articolo 1 riconosce l'importanza dell'intero percorso della via Flaminia; l'articolo 2 istituisce il Parco archeologico della via Flaminia; l'articolo 3 istituisce la fondazione che gestirà il Parco archeologico; l'articolo 4 istituisce un fondo speciale presso il Ministero per i beni e le attività culturali; l'articolo 5 regola l'accordo di programma quando per il perseguimento degli obiettivi della legge; l'articolo 6 disciplina i contributi a carico del fondo speciale; l'articolo 7 definisce la copertura finanziaria.
      Si allega, di seguito, una cartina del percorso della via Flaminia.

 

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